Dal rudere riemergono le lacrime delle Marie
Testo tratto dall’articolo originale su Repubblica.
Quando lo vide, la prima volta, un paio d’anni fa, pensò che fosse il classico rudere da ristrutturare nel cuore della Maremma per farne un hotel di charme. Non immaginava che, dietro i suoi muri cadenti e l’ingresso inghiottito dai rovi, si nascondesse un capolavoro della storia dell’arte rimasto sepolto per secoli. Andrea Sozzi Sabatini, manager toscano cresciuto nella City di Londra col sogno di tornare in Italia e avviare un’attività in proprio fra gli ulivi del grossetano, ha fatto così una scoperta meravigliosa. La porzione di casa che ha acquistato ai piedi della rocca di Scarlino, affacciata sul golfo di Follonica, custodiva un tesoro straordinario. Sopra un tavolato di legno malconcio, in un piccolo squarcio di parete, ha visto affiorare quattro volti di donna. Occhi sottili, visi allungati incorniciati da aureole preziose, un tempo punzonate d’oro. Velate da polvere e ragnatele occhieggiavano sotto le macerie di un appartamento abbandonato.
Per sedici anni era rimasto in vendita senza che nessuno se ne accorgesse. Poche offerte. Due trattative saltate. Poi Andrea, arrampicandosi sulla scala di legno dai gradini sconnessi, si è trovato davanti al miracolo. « È sta- ta un’epifania. Ho capito che era la punta di un iceberg. Sotto si nascondeva un affresco immenso». E ha iniziato a scavare. Affidati a due restauratori, Marco Marchetti e Isabella Gubbini, gli strati di scialbo hanno cominciato a sciogliersi, riscattando una figura dopo l’altra. Una, cinque, quindici. Il gruppo dei sacerdoti, i soldati romani, i giudei. E ancora quaranta personaggi prigionieri della calce. In cinque metri di superficie per tre d’altezza, è comparsa un’immagine grandiosa della Croce di Cristo con tutti i protagonisti affollati ai suoi piedi, le pie donne, gli armigeri, i centurioni, i cavalli. Oggi sono quasi cinquanta le presenze assiepate fra i cartigli e le lamine (perdute) degli elmi.
La qualità del dipinto è altissima. La tentazione di dare un nome importante al suo autore è forte.
Viene in mente il Trecento senese, la scuola di Simone Martini. Curato nei dettagli, nei metalli usati per le corazze, nei freni dei cavalli argentati, tradisce una committenza ricca per un luogo di culto.
Come è possibile che un affresco di tale fattura sia rimasto tanto a lungo coperto da un intonaco? Rovistando negli archivi si trova qualche risposta: sono emersi i documenti di un’antica chiesa. Fondata nel Duecento dai nobili Pannocchieschi, passata alla confraternita della Santa Croce, fu smantellata durante le soppressioni napoleoniche, diventò un fienile, poi una residenza privata. Nella navata vennero issati tramezzi; il presbiterio spezzato a metà da un solaio. Grosse travi portanti bucarono la parete di fondo per ricavare due piani abitabili, infilzando nel ventre la Crocifissione.
L’affresco, coperto brutalmente d’intonaco, ha cominciato a tornare in vita solo nel secondo dopoguerra quando l’ultimo proprietario, Luigi Novelli, allestì la sua camera da letto su quel soppalco malandato. Con la punta di un coltello liberò i volti delle Marie e dormì sotto il loro sguardo dolente. Una foto d’epoca ritrae un materasso addossato al muro. Il contrasto fra le figure sacre e gli stracci di una quotidianità logora è commovente. Girò notizia di questo strano rifugio protetto da un’icona segreta. Vittorio Sgarbi fu l’unico accolto, negli anni Novanta, nella dimora del vecchio Novelli. « Si affacciò alla finestra per cacciarmi, ma mi riconobbe e mi fece entrare. Sembrava la stanza di Van Gogh, paglia, dipinti e cicche per terra; un campo di battaglia». Da allora nessun altro. Fino ad Andrea, che ha compreso il valore dell’opera e messo mano ai lavori. Purtroppo la parte superiore della scena, inglobata nel secondo piano dell’edifico, è stata spazzata via da una ristrutturazione che ha riportato il muro al vivo. Cristo è svanito per sempre. Ma è sopravvissuto il corteo, le donne e San Giovanni, Cornelio il centurione convertito, i giocatori di dadi, Longino a cavallo che trafisse con la lancia il costato di Gesù.
Mentre i restauratori preparano impacchi di polpa di carta e carbonato di ammonio per rimuovere gessi e fissativi posticci, gli studiosi stanno già avanzando ipotesi di attribuzioni. Fabio Torchio e Alessandro Bagnoli, della Soprintendenza di Siena, coordinano le ricerche. Il periodo ipotetico spazia dalla fine del Trecento alla metà del Quattro. Paola Colonna, “signoressa” di Piombino, erede della celebre casata patrizia romana, sorella di Oddone diventato papa Martino V, accolse proprio in quel periodo, nei suoi territori maremmani, ospiti illustri. Forse fu lei la titolare dell’impresa. Indizi utili per datare l’affresco sono le prospettive audaci e le armature da parata (simili a quelle dei Missaglia, armaioli milanesi). Le mani allungate fanno davvero pensare ai senesi; le dita affusolate ricordano la maniera di Duccio, la sua stessa mollezza. Le barbe a riccioli dei sacerdoti richiamano lo stile di Lippo Memmi. Si parla anche di Taddeo di Bartolo, di Matteo di Giovanni o Nanni di Pietro. Ma è tutto da discutere. Come si fa nei casi di autori misteriosi senza nome, si inventerà magari un epiteto. Sgarbi propone il “Maestro di casa Sozzi”, in omaggio ad Andrea che l’ha salvato. In attesa che si sciolgano le riserve, l’architetto Barbara Fiorini ha ricevuto l’incarico di progettare un museo. Verrà smontato il solaio affinché l’affresco si possa vedere da una passerella e, soprattutto, dal basso, com’era in origine, quando i fedeli alzavano la testa verso le figure fortemente scorciate, tutte rivolte in direzione di un Cristo che oggi non c’è più.
Storia del capolavoro ritrovato per caso in un vecchio casale: l’intonaco nascondeva un grande affresco di scuola toscana Ora nascerà un museo